Partiamo dal pensiero di Oriana Fallaci.
“Non credo nella falsità chiamata Integrazione. Integrarsi significa accettare e rispettare (più educare i propri figli ad accettare e rispettare) le regole, le leggi, la cultura, il modo di vivere del posto nel quale si sceglie di vivere.
E quando si impone la propria presenza a un paese che non ci ha chiamato e tuttavia ci tiene, ci mantiene, ci tollera, il minimo che si possa fare è integrarsi. Soprattutto se si è chiesto e ottenuto di diventare cittadini. Status che esige lealtà, fedeltà, affidabilità, e possibilmente amore per la Patria cioè la Nuova Patria che si è scelta.
Ebbene, nell’Europa-Eurabia gli altri immigrati si integrano. Più o meno si integrano. Quelli che vengono dai paesi di cultura cristiana, ad esempio. Dalla Russia, dall’Ucraina, dalla Bulgaria, dall’Ungheria, dalla Slovenia, e tutto sommato anche dalla Romania che davvero non ci esporta il meglio del meglio. Perfino i discutibili cinesi che provocatoriamente si chiudono dentro le loro mafiose enclave, in certo senso finiscono con l’integrarsi. I mussulmani, no.
Nella maggior parte dei casi non si curano neanche di imparare la nostra lingua, le nostre lingue. Incollati alle loro moschee, ai loro Centri Islamici, alla loro ostilità anzi al loro disprezzo e alla loro ripugnanza per tutto ciò che è occidentale, obbediscono soltanto alle regole e alle leggi della Sharia. E in compenso ci impongono le loro abitudini. Le loro pretese, il loro modo di vivere. (Cibo e poligamia inclusi).” (da “thankyouoriana.it)
Attualissima l’immagine che nel 2005 Oriana Fallaci offriva su scenari di falsa integrazione degli immigrati mussulmani nell’Europa.
Nel 2019, dopo 14 anni, è evidente come l’integrazione sia un fallimento.
Gli immigrati islamici considerano le nostre regole come un fastidio e il buonismo di una sinistra ottusa e falsamente inclusiva è complice di questo rifiuto che è alla base di una convivenza possibile.
La debolezza di figure al vertice, pronte a sbandierare nel nome dell’inclusione e della multiculturalità dei popoli, comportamenti remissivi di fronte a manifeste negazioni delle fondamentali regole di rispetto delle tradizioni, della cultura e delle leggi dello stato italiano, sono l’espressione di una politica e un management incapace di salvaguardare, con orgoglio, la fierezza di essere italiano.
Scendendo nella gerarchia del potere molti episodi di debolezza in figure dirigenziali dello Stato sono un campanello d’allarme il cui suono deve essere stimolo per un risveglio completo da chi, sopito da menzogne della sinistra, creda ancora che il modello inclusivo dei radical chic funzioni.
Dirigenti scolastici che vietano la celebrazione del Santo Natale nelle scuole, amministratori comunali che impongono, nel nome dell’inclusione, aule dove studenti islamici si esprimono tra loro in arabo, escludendo chi li ospita e spesso li mantiene, giudici che, nel chiedere di rispettare le leggi da loro rappresentate, vengono accusati di razzismo (TAR dell’Emilia con espulsione di una giovane che ha avuto l’ardire di presentarsi con il velo islamico sul capo); un elenco che sembra non avere fine e che impedisce al popolo italiano di essere tutelato dall’arroganza impunita di chi crede di essere “padrone in casa d’altri“
Donne islamiche che non conoscono la nostra lingua, che non comunicano, non si isolano in quanto volutamente isolate, negando il vivere nella nostra civiltà occidentale, piena di contraddizioni ma sicuramente caratterizzata da percorsi, nei secoli, fondamentali in termini di evoluzione e di rispetto, ottenendo risultati di uguaglianza fondamentali.
Quartieri nelle periferie trasformati in ghetti dove l’occidentale è osservato con diffidenze e disprezzo, dove il degrado e costumi barbari permeano angoli di città, con macellerie improvvisate nelle rimesse sotterranee dei palazzi-dormitori, dove le leggi del nostro Stato vengono disattese (articoli – art. 5 – della Legge n.152 del 1975 e la successiva Legge n.155 del 2005 relativa alle norme di pubblica sicurezza che vieta in luogo pubblico l’uso di coperture del volto), dove si tollera, nel nome della inclusione e multiculturalità, atteggiamenti ostili contro chi difende i valori dello Stato.
Oriana Fallaci, oracolo del declino, deve essere stimolo di riflessione e di azione per contrastare l’esponenziale imbarbarimento della nostra cultura e della nostra razza.
Giorgio Almirante, nel 1942 scrisse: “Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato Paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d’una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore“.